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Immagine del redattoreJessica L.Langdon

LONG-COVID, I DISTURBI CEREBRALI CHE POSSONO PEGGIORARE IL CERVELLO NEL LUNGO TERMINE

Aggiornamento: 25 apr 2021

Negli ultimi studi riguardanti la fase Post-Covid, aumenta la preoccupazione dei medici sulla presenza di diversi disturbi cognitivi legati all'organo del cervello, e soprattutto alla popolazione degli over 70.


Negli ultimi aggiornamenti relativi al Covid19, (espressi in data 20 Marzo 2021), si può già capire che siamo ancora lontani dal poter dire "che siamo fuori dalla pandemia" in senso pressoché definitivo, tanto che sono gli stessi numeri a parlare:

  • i morti nel mondo sono 2.715.585;

  • i contagiati sono 123.019.503;

  • gli attivi restano 21.157.796;

  • ed i guariti sono 99.146.122.

Ma nei dati non proprio incoraggianti riportati qui sopra, si evidenziano comunque dei dati positivi per quasi i 100 milioni di persone nel mondo, che sono guariti dall'infezione riportata dal virus. Ed è un dato assolutamente importante se non rimarchevole, che ci fa ben sperare sulla buona possibilità di guarigione dal Covid19.

Nello scenario complesso e variegato del Coronavirus, meritano certamente un capitolo a parte tutti quei studi che stanno cercando di comprendere quale sia la causa scatenante di alcune persone che devono affrontare un "lungo" periodo (o Long Covid) di recupero dalla malattia, mentre altre no; e si cerca anche di capire il perché alcune manifestazioni sono connesse proprio al sistema nervoso, quali:

  • la memoria;

  • i disturbi del sonno;

  • le vertigini e senso di annebbiamento ;

  • assenza di olfatto e del gusto.


Sopravvivere più o meno bene



Le ultime prove scientifiche confermerebbero che nel lungo periodo, in alcuni dei Sopravvissuti da Covid19, vi sia la presenza di lievi danni cerebrali di carattere cognitivo che possono sfociare al deterioramento della memoria, e così per gli effetti psicologici, come ansia e depressione.

A confermare ciò che stiamo dicendo, vi è un interessante articolo della Harward health Publishing and Medical School, che attraverso la pagina del suo Blog, offre un quadro esaustivo sui diversi effetti da Covid19. Nello specifico, si indaga di come il COVID danneggia il cervello, sia negli over 70, che sono più inclini all'ictus se legati all'infezione, ma anche nei giovani che possono rischiare 7 volte in più di avere un ictus.

Nel caso delle persone anziane, quindi se il danno risulta grave, e se combinato da ictus silenziosi ed infiammazione sistemica, vi è un alto rischio per la trasmissione di Alhzeimer nel futuro di questi pazienti.

Se invece il danno è lieve, l'effetto più comune è senza dubbio la difficoltà nell'attenzione sostenuta e vale anche per le fasce di età più giovani. Ma come vedremo più avanti, gli effetti sono diversi tra le persone che hanno contratto il virus. E questo ci fa intuire che non vi è una strada comune su cui essere sicuri da percorrere, ma si va a tastoni, letteralmente.


Senza poi considerare tutte quelle persone che avevano problemi di carattere fisico già prima del Covid e di coloro che invece attraverso le preoccupazioni sul futuro, rischiano di sfociare in malattie di ambito psichiatrico, che non affrontiamo in questo approfondimento, ma che vale sempre la pena di sottolineare, visto che "tutto un mondo a suo modo soffre a causa del Covid", e ciò non può essere certamente ignorato.


Quali sono i sintomi da considerare


Nell'articolo del Newsweek del 21 Febbraio 2021, in collaborazione con NewsGuard, si argomenta ulteriormente e meticolosamente sugli effetti sul cervello, in relazione ai sintomi iniziali presenti durante l'infezione da Covid19, quali:

  • perdita dei sensi dell'olfatto e del gusto;

  • falsi odori;

  • tremori e profonda stanchezza;

  • profonda confusione, denominata come Brain Fog.

Nei studi svolti parallelamente tra Wuhan, Francia e Regno Unito, si sono scoperte delle percentuali di pazienti Covid che mostravano delle complicazioni di tipo prettamente neurologico, più o meno gravi. Mentre, riprendendo il bellissimo articolo del Newsweek, (che ha affrontato accuratamente l'argomento), si mettono in rilievo sia gli studi che i risultati espressi da parte di alcune Università Americane, oltre al coraggio dei Neuroscienziati nel mettere a rischio la loro stessa salute.

La Dottoressa Clare Bryce, chiarisce infatti, che intervenire su pazienti deceduti infettati da un patogeno che si diffonde in aria, oltre che far rallentare le autopsie, necessita di un iter di lavoro super rigoroso, in cui essi possano "lavorare in una stanza appositamente sigillata, dotata di un sistema di ventilazione progettato per impedire all'aria di fuoriuscire, accessibile solo a un singolo patologo alla volta vestito con una tuta protettiva per tutto il corpo e uno schermo facciale."

Va da se, che tra i sintomi più lievi che possono permanere nel Long-Covid, come perdita dell'olfatto, gusto, stanchezza e annebbiamento mentale, (tanto per citarne i principali), bisognerebbe mantenere un orientamento il più attento possibile, vigile sui piccoli cambiamenti in corso; e si consiglia sempre di rivolgersi ad un medico per chiedere un consulto.



Prima e dopo Il covid



Prima del Covid19, la cosiddetta sindrome da fatica cronica, detta anche come encefalomielite mialgica, la quale è rappresentata da una profonda stanchezza fisica, era già presente ed affliggeva solo negli Stati Uniti ben 2 milioni di persone.

Nell'articolo di Newsweek, si intende alzare l'asticella dell'allerta riguardo ad un eventuale problema legato agli effetti a lungo termine, visibili molto probabilmente solo nei prossimi decenni, ed in cui le persone che oggi sono afflitte da CFS, potrebbero in futuro manifestare patologie degenerative complesse se non irreversibili.

A tal proposito, parla l'esperto in disturbi neuro degenerativi dell'Università del Texas Health Center di San Antonio, De Erausquin il quale racconta di un caso che lo stesso ha vissuto da vicino, dato che una sua Dottoressa Residente, quando ha scoperto di avere il Covid, si è subito isolata in una stanza di albergo per un mese, lontano dai suoi due figli, scoprendo dopo che l'infezione oltre alla perdita di olfatto e gusto, le aveva fatto acquisire un certo distacco emotivo alla vita a cui teneva prima del Covid; insomma si è verificato un annebbiamento cerebrale (orami noto come Brain Fog) nell'area delle emozioni e della memoria, detta appunto amigdala.


Attraverso la rivista scientifica di The Lancet, vi è invece un altro racconto di una Survivor da Covid della prima ondata, che racconta tutta la sua esperienza fin dai primi sintomi, all'ospedalizzazione, al ritorno a casa con i strascichi della malattia. Una testimonianza vera ed assoluta, quella di Anne Cahill di Dublino, che ci proietta in un mondo ignoto, pieno di paura, allucinazioni e dubbi, in cui nessuno sa cosa aspettarsi da una malattia così invasiva e misteriosa. La protagonista, si ritiene comunque una donna fortunata, perché ha potuto riabbracciare i suoi cari, anche se ogni giorno deve gestire il suo consumo di energia e si sente vulnerabile quando ci sono folle o persone che non rispettano le distanze e la mascherina, tanto che ribadisce che: "fino a che non riceverò il vaccino, sono come la polizia del COVID". dice. "Penso che sarò l'ultima persona a togliermi la maschera".


Dalla Spagnola, il fil Rouge che lega Virus e cervello



Fin dai tempi dell'influenza Spagnola del 1918, vi è un sottile fil rouge che lega il virus alle conseguenze neurologiche riportate al cervello, e verificate anche in presenza di altre malattie, quali HIV, EBOLA e SARS. Nell'attento articolo del National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) sul rapporto tra COVID19 e il sistema nervoso, vengono affrontate alcune questioni "calde" sull'argomento, come:

Gli specialisti che si dedicano alle verifiche sul campo per capire da vicino quali sono gli effetti post Covid, sono proprio quelli che vanno ad indagare direttamente sui corpi infettati e scoprendo poi, come sottolinea il Dottor Clare Bryce, patologa del Icahn School of Medicine at Mount Sinai, che esisterebbe un comune denominatore presente tra le molte vittime, e cioè del rigonfiamento del cervello, di vasi sanguigni rotti e di molte aree di devastazione cellulare ed altro ancora.


Le domande urgenti non possono aspettare



L'allarme che molti studiosi stanno lanciando e che hanno condiviso attraverso l'articolo del Newsweek (che consigliamo davvero di leggere) sulle loro importanti scoperte in merito alla comprensione delle probabili cause, (che al momento vertono principalmente su infezione virale e reazioni autoimmuni) e dei molteplici effetti che il Covid19 compie sul cervello ed in misure diverse a seconda dell'infettato, pone due fondamentali se non urgenti questioni da affrontare quanto prima e che proviamo a sintetizzare qui di seguito:

  1. quali effetti saranno effettivamente visibili nel cervello dei tanti sopravvissuti da Covid19 e a che distanza di tempo si potranno pronunciare?

  2. se i sistemi sanitari di tutto il mondo, riusciranno a reggere all'accrescimento esponenziale di tutti quei pazienti che invecchieranno con la presenza dei tanti sintomi neurologici, ai quali sarà doverosa una assistenza e soprattutto una ricerca massiccia, che possa prevenire e trattare i sintomi post- Covid19.

Al momento, mentre riportiamo gli ultimi aggiornamenti, vi è comunque una buona notizia, che riguarda il Dott De Easquirin e dei moltissimi altri ricercatori a livello internazionale, i quali a seguito di un finanziamento sostanzioso e sostanziale da parte dell'Alzheimer's Association e del sostegno dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, potranno iniziare una ricerca dalle dimensioni considerevoli sui tantissimi Sopravvissuti Post-Covid19 negli anni futuri.


Pertanto, non è solo importante stare attenti di infettarsi, ma anche riuscire a guarire nel miglior modo possibile, nel caso succedesse; e laddove il vaccino non sia ancora disponibile, è certamente la ricerca a mostrare la via migliore per ritrovare quella serenità e normalità ormai persa a causa del Covid19.


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